Lavorando nelle risorse umane negli ultimi 10 anni ho sentito migliaia di storie personali di crisi sul lavoro. Ecco tre esempi tipici:
1) “Mi ha convocato il direttore del personale per dirmi che non hanno più bisogno di me, che dobbiamo trovare una soluzione contrattuale per interrompere la collaborazione. Che faccio?”
2) “Mi stanno facendo mobbing. Che faccio?”
3) “Hanno deciso di chiudere i nostri uffici. E’ solo una questione di tempi, la decisione è irrevocabile. Che faccio?”
Fino a qualche tempo fa la combinazione di sensibilità sociale, orientamenti giurisprudenziali, leggi, mentalità portava a offrire le seguenti risposte:
Risposta 1: “Rifiuta, ma lasciando uno spiraglio aperto. Prendi tempo. Senti il sindacato. Senti un legale. Intanto per precauzione manda qualche cv”;
Risposta 2: “Prova a resistere. Intanto comincia a collezionare prove. Prendi tempo. Senti il sindacato. Senti un legale. Intanto per precauzione manda qualche cv”;
Risposta 3: “Non puoi fare molto. Vedrai che i sindacati qualcosa si inventeranno. Contattali e magari senti pure un legale. Intanto per precauzione manda qualche cv”.
Comun denominatore delle tre risposte: “Non prendere iniziative troppo decise. Il posto è tuo. Non mollarlo fino all’ultimo minuto. Vendi cara la pelle. Trova degli alleati contro il nemico, mettilo in difficoltà, innervosiscilo, fai passare del tempo percepire meglio come muoverti”.
Questi consigli erano ragionevoli fino a qualche anno fa.
Adesso davvero non vanno più bene.
E’ cambiato l’impianto normativo ma ancora prima è cambiato il sentire comune su questi temi (un tempo per esempio era politicamente accettabile scaricare sulla fiscalità generale anni di cassa integrazione o di prepensionamento, oggi non lo è più). Sta cambiando il modello di welfare (l’indennità di disoccupazione NASPI non potrà più essere considerata l’alternativa di serie B allo stipendio), stanno cambiando gli orientamenti dei giudici, stanno cambiando le esigenze degli imprenditori. Soprattutto con la tecnologia e la competizione globale cambia radicalmente il modo di lavorare delle persone. Insomma il posto non si può più difendere a oltranza perché semplicemente non c’è più (che ciò sia un bene o un male è tutto da discutere).
Ho conosciuto troppi impiegati e manager che nel “tempo” di quel “prendi tempo e lotta per difendere il tuo posto” si sono incagliati. Come un giapponese in difesa di un fortino per una guerra finita da tempo. Guerre di lettere di richiamo, minacce, mobbing, pareri legali, istanze sindacali, soprusi silenziosi. E intanto i malcapitati non lavorano e perdono stimoli, energie, fiducia. E il tempo passa. E quando finiscono le vertenze e gli scioperi restano parole, qualche mensilità in più (forse) e un disoccupato cronico. L’ISTAT ci dice che in Italia si stimano in 1555000 le persone in cerca di occupazione da più di un anno, il 58,1% del totale dei disoccupati.
Perdere tempo per difendere un rapporto di lavoro in crisi oggi è un autogol. Quel ‘tempo’ può durare 5 mesi o 5 anni, ma per i ritmi frenetici del lavoro del terzo millennio è un ‘tempo’ insopportabile. Ci si incattivisce, ci si deprime, soprattutto si perdono competenze (è impressionante la velocità con cui nel mondo iperaccelerato in cui viviamo si perdono competenze stando fermi ai box).
Dunque il miglior consiglio che si possa dare oggi è a chi deve negoziare un’uscita è “Se il tuo ‘posto’ entra in crisi (mobbing, ristrutturazioni, ecc.) anticipa gli altri, scappa subito, taglia il cordone ombelicale, anche se c’è da rimetterci qualche mensilità. Guadagna tempo. Per trovare un nuovo lavoro hai bisogno di tempo, di parlare con tante persone, di chiarirti le idee, di stimarti. Pensi che la Naspi sarà eterna? Pensi che senza il tuo contributo attivo (ore e ore di lavoro quotidiano) un agenzia per il lavoro ti troverà il lavoro perfetto?
Comincia subito a cercare dopo esserti liberato dal lutto del lavoro perso, riduci al minimo gli strascichi psicologici e legali. Ogni giorno che passa invecchi. Il vero valore economico sta nel tempo che risparmi”.
Recentemente mi hanno detto: “Cavalieri per lei è facile parlare, ma io ho 50 anni un figlio disoccupato e un nipotino in arrivo”. Sono stato travolto dal dramma di questa persona ovviamente, ma al di là della solidarietà umana la sostanza del mio consiglio non è cambiata: “arrabbiati, sfogati, poi prendi al volo quel poco che ti offrono, scegli bene un buon percorso di outplacement e fai in fretta, ogni minuto è prezioso”. La guerra per difendere un posto che sta volando via ci toglie tempo ed energie che dobbiamo usare per trovare qualcos’altro, il prima possibile.
La crisi di un rapporto di lavoro oggi si previene non si cura.
Ecco perché la vera risposta è avere un piano B sempre pronto nel cassetto, in qualsiasi momento, sempre. Ne parleremo sempre più spesso in questo blog. Ne parleremo sempre più spesso come generazione.
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