Il 16 febbraio sono usciti i dati INPS sul lavoro in Italia nel 2015 e si è infiammato il dibattito pubblico sulla contabilità dei contratti a tempo indeterminato e sul costo degli sgravi contributivi. Renziani contro anti-renziani, sostenitori del job act contro oppositori del job act.
Nel silenzio passano inosservati tre dati molto interessanti:
1) Gli stipendi dei neoassunti sono in diminuzione;
2) Il 41% dei neoassunti è part-time;
3) Il Governo ha venduto 115 milioni di voucher-lavoro.
Traduciamo: “Mi pagano di meno”, “Mi assumono ma solo part time”, “Mi accontento di “lavoretti” o di lavorare in nero”.
Che profilo di lavoratore stiamo tracciando? E’ qualificato? Ha potere contrattuale? E’ insostituibile e fondamentale nel processo produttivo di chi lo assume? Sono ovviamente domande retoriche. Il profilo di lavoratore che emerge da queste tre domande è preoccupante e purtroppo sposa due dati enormi dell’economia italiana che avevamo rilevato nelle scorse settimane: la più bassa quota di laureati fra le trenta principali democrazie industriali e una produttività totale dei fattori in caduta costante da oltre 15 anni.
Ecco perché il problema non è se gli sgravi di Renzi hanno creato un “posto” in più o in meno, ma se la nostra società si sta costruendo gli anticorpi per dare a giovani e meno giovani una prospettiva di lavoro vero: competenze, autonomia, imprenditorialità, creatività. O sfruttiamo questi strumenti per cavalcare tecnologia e globalizzazione oppure tecnologia e globalizzazione ci schiacceranno.
Guardate questo grafico:
Rappresenta il cuore del mio ultimo libro sul mondo del lavoro.
Osservate in particolare il riquadro in basso a sinistra. E’ il riquadro della precarietà malpagata. E’ il riquadro in cui ricade il capitale umano non sufficientemente qualificato.
E’ il riquadro di cui probabilmente ci stanno parlando i 3 dati INPS che abbiamo appena commentato.
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