L’istat ha detto l’ultima parola sul mercato del lavoro in Italia nel 2015. Abbiamo i numeri per riflettere su quello che è accaduto nel mondo del lavoro nell’ultimo anno.
Intanto ecco una tabella riassuntiva con i principali valori assoluti del lavoro in Italia.
Tre dati in evidenza nelle dinamiche dell’ultimo anno:
1) 149000 autonomi in meno. E’ un dato ambivalente. Può darsi che ci siano lavoratori autonomi che non ce l’hanno fatta ma può darsi che ci siano tanti falsi autonomi (di fatto dipendenti) che hanno regolarizzato la loro posizione.
2) 426000 lavoratori dipendenti in più nell’ultimo anno. Ottimo dato. Non sono pochi. E’ certamente un numero influenzato dai generosi sgravi contributivi assicurati dal governo agli imprenditori che assumono.
3) 359000 dei 426000 dipendenti in più sono over 50. Cosa significa? Che in Italia ci sono più persone che lavorano rispetto ad un anno fa perchè gli over 60 sono costretti ad andare in pensione più tardi, a restare al lavoro più a lungo. E’ l’effetto “Fornero”. Qual è l’impatto sulla produttività complessiva del lavoro di questa “squadra più vecchia”?
Ci sono due dati che le tabelle dell’Istat non ci hanno dato e che sarebbero fondamentali per capire se il mercato del lavoro in Italia è davvero migliorato nel corso del 2015: il monte ore lavorate e il monte compensi.
Sappiamo che lavorano più persone ma non necessariamente il lavoro è aumentato. Se per ipotesi i lavoratori “in più” fossero tutti part time? I lavoratori sarebbero aumentati ma il numero di ore lavorate no. Siccome viviamo in un tempo in cui molti lavori caratterizzati da mansioni esecutive e ripetitive sono ‘messi alla prova’ dalla tecnologia e dalla competizione, il tema del part time (utilizzato non come scelta di libertà del lavoratore ma come scelta di ottimizzazione del datore di lavoro) è un aspetto da tenere sotto osservazione. L’indicatore che ci servirebbe è dunque quello delle ore lavorate e insieme quello del rapporto tra contratti part time e totale dei contratti.
Per lo stesso motivo (tecnologia + competizione) sono sotto pressione gli stipendi, in particolare quelli relativi al capitale umano non qualificato. Paradossalmente potremmo avere più lavoratori, ma una diminuzione dello stipendio pro capite. Il ‘monte compensi’ è un dato che rappresenta l’indicatore fondamentale per capire se il lavoro sta crescendo dal punto di vista della qualità (responsabilità, competenze, produttività) e dunque se rappresenta un vero arricchimento per i singoli e per la collettività. Viviamo infatti nella “gig economy”, l’economia dei “lavoretti” e la mera contabilità dei contratti di lavoro ci offre indicazioni sempre più povere sulla qualità del lavoro, quella che fa la felicità delle persone.
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